Image

Restauratori all'opera

Image

Restauratori all'opera

I MEDICI DELL'ARTE | 6. Simona Sajeva

Approvata dopo 24 anni una prima megalista di 6.600 restauratori

Simona Sajeva

Leggi i suoi articoli

Il restauro è fatto dai restauratori. Potrebbe sembrare una semplice constatazione di fatto, se soltanto l’identità del restauratore fosse altrettanto ovvia. Strano a dirsi in un Paese, l’Italia, che vanta un ruolo storico di primo piano nella definizione sia della disciplina del restauro che dei restauratori. Oggi, a più di tre anni dalla pubblicazione del bando di selezione per il conseguimento della qualifica, una tappa importante è stata raggiunta: la pubblicazione da parte del Mibac dell’elenco nazionale di tutti gli idonei. Eppure non si percepisce una reale soddisfazione da parte della categoria, anzi. Oltre alla stanchezza per una procedura burocratica, durata anni, iniziata ben prima della pubblicazione del bando, e dagli esiti incerti, è palpabile il senso di frustrazione per un criterio valutativo percepito come inadatto a cogliere e vagliare le competenze specifiche dei restauratori e le esperienze professionali eterogenee, che spesso formano sul campo. Forse, al di là di questi e altri aspetti, la chiave per comprendere il malessere della categoria si trova proprio in due parole: identità e qualifica.

Chi scrive, oltre a lavorare da anni a fianco dei restauratori italiani e francesi, da ingegnere, è anche collaboratrice restauratrice qualificata. Precisazione che mi sembra dovuta per chiarire il punto di vista proposto. L’impressione è che la procedura sia stata avviata sapendo dove si voleva arrivare, la qualifica, ignorando sia da dove si veniva sia dove si era giunti, ovvero l’identità. Infatti tutto il percorso è stato basato su standard omologanti che, se da un lato possono essere applicati ai nuovi percorsi formativi, dall’altro mal si adattano alla valutazione di restauratori divenuti tali prima che i percorsi di formazione fossero nettamente, univocamente e formalmente definiti.

In Francia, il problema si è posto ed è stato affrontato in vari passaggi. In assenza di diploma, in un primo tempo sono stati riconosciuti restauratori tutti coloro che avevano lavorato su beni museali dal 1997 al 2002. Successivamente, dal 2012, con almeno un anno di esperienza di lavoro dimostrabile al fianco di restauratori professionisti, è possibile avviare la pratica per la convalida dell’esperienza acquisita (Vae), presentando un dossier e sostenendo un esame. Pecca di comunicazione o estrema complessità della vicenda, la situazione dei colleghi italiani non è giunta, se non in forma di accenno, alla Fédération Française des Conservateurs Restaurateurs (Ffcr), l’ente di riferimento per la categoria francese.

Riguardo al riconoscimento dei restauratori «anziani», Roch Payet, che nel 1992 della Federazione è stato il presidente fondatore, osserva che la questione è stata da subito centrale nella determinazione della missione della Ffcr, proprio per evitare l’esclusione dal mercato del lavoro di chi non possedeva un diploma.

Invece, Aude Mansouri, presidente in carica, ci informa che un numero crescente di restauratori italiani contatta la Ffcr per informarsi sul mercato e sulle condizioni di lavoro in Francia, palesando il disagio della categoria. Non va dimenticato infatti che, oltre al difficile periodo economico che l’Italia attraversa ormai da anni, prima della pubblicazione degli elenchi ministeriali, le Pubbliche amministrazioni avevano cominciato a preferire i restauratori dalla qualifica certa, come i diplomati delle scuole del Mibac, per scongiurare eventuali contestazioni.

Forse in Italia, nella corsa alla qualifica, molto si è perso dell’identità, forte e caratteristica, dei restauratori. Forse, se questa identità fosse stata censita con criteri adeguati prima di avviare la procedura, e se quest’ultima fosse stata graduale e diversificata, si sarebbero potuti valutare meglio i percorsi delle differenti generazioni di professionisti. Forse, questa sarebbe stata un’altra opportunità per la categoria di essere ancora, come già in passato, fonte di ispirazione per i colleghi di altre nazionalità.

I MEDICI DELL'ARTE

1 | Il restauro italiano numero uno al mondo
2 | Gianluigi Colalucci
3 | Pietro Pietraroia e Nanni Molè
4 | Il Chi è del restauro italiano
5 | Laura Lucioli
6 | Simona Sajeva
7 | Anna Scavezzon
8 | Giorgio Bonsanti
9 | Antonio Forcellino

Restauratori all'opera

Simona Sajeva, 15 marzo 2019 | © Riproduzione riservata

Altri articoli dell'autore

A Lione quasi 2mila partecipanti al 36mo Congresso mondiale del CIHA, la più antica organizzazione internazionale di categoria

Intervista all’avvocato Pietro Celli che ha seguito la procedura presentando il ricorso che ha sbloccato la situazione di stallo, durata otto anni

A Parigi una conferenza sulla professione, codificata nel 1984, ma oggi

Nella divulgazione in tema di conservazione non si contano le rappresentazioni stereotipate per genere. È la strada giusta?

I MEDICI DELL'ARTE | 6. Simona Sajeva | Simona Sajeva

I MEDICI DELL'ARTE | 6. Simona Sajeva | Simona Sajeva